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Crisi agricola, Rustico: "Necessarie nuove idee e maggiore organizzazione tra i produttori"

Per il settore degli ortaggi, chiesta con urgenza la convocazione di un tavolo di confronto

Nei giorni scorsi la Confederazione Agricoltori Italiani di Puglia ha chiesto all'assessore alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia, Leonardo Di Gioia, la convocazione urgente di un tavolo di confronto sulla grave crisi del comparto orticolo della Puglia. Da qualche settimana infatti - secondo quanto recita una comunicazione ufficiale del presidente regionale CIA Puglia, Raffaele Carrabba - il comparto orticolo pugliese sta vivendo un profondo stato di crisi dovuto alla mancata vendita della stragrande maggioranza delle produzioni orticole locali (sedano, cavoli, finocchi, cicorie, cime di rape, broccoli, etc.). Da diversi giorni migliaia di ettari di ortaggi in varie zone della Puglia restano non raccolti ed invenduti in campo a causa di una serie di fattori congiunturali. Gli imprenditori agricoli, invece, che stanno continuando a garantire la raccolta e la occupazione di braccianti agricoli stanno solo incassando, nella migliore delle ipotesi, il solo costo della manodopera impiegata per la raccolta. Il tutto in un sistema commerciale sul quale incidono negativamente le regole non scritte imposte da chi fornisce la GDO (grande distribuzione organizzata), e con le esportazioni al momento quasi completamente bloccate.

La situazione è divenuta ormai insostenibile, anche per quanto riguarda la nostra città: è quasi drammatico, infatti, che ci siano ettari ed ettari di rape, cavolfiore e prezzemolo a marcire, per non parlare dei prezzi troppo bassi. Abbiamo intervistato per l'occasione un imprenditore agricolo della nostra città, Luigi Rustico, titolare dell'omonima azienda agricola andriese, operante nel settore degli ortaggi: «Il problema principale è dovuto alle temperature che non sono mai state rigide in tutta Europa, e questa situazione ci ha costretti a non avere un valido mercato di esportazione, perciò molta merce è rimasta qui. Quando l'offerta supera la domanda, ecco che nascono problemi di merce invenduta: un fatto che, a lungo andare, causerebbe un blocco totale della vendita. A far la parte del leone in tutto questo è la categoria dei supermercati. Va detto altresì che alla base di questa situazione c'è la mancanza di organizzazione tra i produttori e di un organismo di tutela di questo lavoro: possiamo avere annate in cui alcuni prodotti vengono venduti a prezzi allucinanti, altre invece in cui le vendite sono molto basse. E' necessario pianificare produzioni e obiettivi: oggi un produttore non sa affermare con precisione quale produzione farà quest'estate, sembra tutto affidato a una sfera di cristallo in cui ognuno cerca di prevedere il futuro. Ma non va affatto bene».

Quali possibili soluzioni, allora? «A mio parere bisognerebbe diversificare la produzione ed evitare gli ingorghi: siamo tra i pochi in Europa a produrre, ad esempio, sedano e prezzemolo, ma siamo quasi monocoltura. Può succedere, come quest'anno, che le condizioni climatiche siano avverse con un inverno poco costante con le temperature, e così le produzioni di aprile sono maturate a gennaio e quelle di marzo sempre a gennaio: la maturazione di questi articoli è arrivata contemporaneamente, fuori da ogni previsione. Quindi l'invito è alla produzione di nuovi articoli, come i cavoletti di Bruxelles, che da noi si coltivano bene e hanno una buona esportazione. A livello organizzativo, inoltre, si potrebbe pensare a un gruppo di produttori che gestiscono le nostre aziende organizzandosi con l'industria, che in questo periodo può rappresentare una valvola di sfogo. Il tutto per cercare di rimanere almeno feriti ma di non morire del tutto. Dobbiamo fare squadra tutti assieme: l'esempio ce lo dà il consorzio delle mele del Trentino,dove se c'è sovrapproduzione, ognuno distrugge una parte del suo prodotto per non ingolfare il mercato comune. Anche lo sviluppo di una buona rete commerciale può rappresentare una valida alternativa: a livello di ortaggi, in riferimento all'area del Nord-Barese, fuori dai confini nazionali non ci conosce nessuno, tranne che per l'olio e la burrata. E' una grossa pecca, perché gli agganci con l'estero ci potrebbero dare una grande mano. La speranza è che possano nascere nuove idee soprattutto tra i giovani».
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