"Puglia in viaggio nella memoria", imprecisioni su Murgetta Rossi. Le testimonianze
Una attenta e documentata analisi del testo del progetto di PugliaPromozione da parte del giornalista Cosimo Forina
domenica 17 ottobre 2021
iReport
Presentata qualche giorno fa, la guida "Puglia In Viaggio nella Memoria", risultato di un ampio progetto di ricerca, affidato da Pugliapromozione all'Istituto pugliese per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea, fa riferimento anche all'eccidio avvenuto in "Murgetta Rossi, territorio di Spinazzola tra il 18 e il 21 settembre 1943. Il fine del progetto è quello di recuperare e valorizzare i luoghi della memoria legati a eventi ed episodi accaduti in Puglia dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, uno dei momenti cruciali della storia nazionale del secolo scorso.
Ma, a ben guardare e leggere, diverse sono le imprecisioni ed omissioni in merito alla tragedia avvenuta nel territorio spinazzolese contenute nella guida. Ad evidenziarle, il giornalista Cosimo Forina che, nel testo che segue, fornisce una attenta analisi del testo contenuto nella guida e una minuziosa documentazione di testimonianze da lui stesso raccolte.
"È stata presentata nei giorni scorsi la guida "Puglia in viaggio nella memoria – Tra i luoghi dell'Antifascismo della Resistenza e dell'Accoglienza" voluta da Pugliapromozione e curata dall'Istituto Pugliese per la Storia dell'Antifascismo e dell'Italia Contemporanea (IPSAIC). Un lavoro senza ombra di dubbio encomiabile, tuttavia impreciso, almeno nella sintesi che concerne la strage dei 22 soldati italiani inermi a Spinazzola compiuta dalla barbarie nazista in ritirata dopo l'armistizio dell'8 settembre del 1943.
Riporta lo stampato: "A circa 51 chilometri da Barletta, subito dopo il bivio per Minervino Murge, in località Murgetta Rossi, il 18 settembre 1943 un reparto della Wehrmacht commise uno dei più orrendi crimini della breve, ma violenta occupazione dell'Alta Murgia. Nei pressi delle cave di bauxite furono catturati ventidue militari italiani che tentavano di ritornare alle loro case. Trasferiti in un ovile non distante dalla cava, furono fucilati e i loro corpi occultati sotto il muro di cinta che fu fatto saltare. Alcuni giorni dopo un pastore del luogo si trovò di fronte alla macabra scoperta e avvisò le autorità di Spinazzola. Si decise senza indugio di interrare i corpi sul posto. Solo nel marzo del 1945 i resti dei soldati italiani furono trasferiti nel cimitero della citta di Spinazzola".
La guida vuol essere anche promozione delle città che hanno pagato amaramente la ferocia nazifascista. Tuttavia, nel citare Spinazzola, gli autori si limitano a pubblicare alcune fotografie delle cave di bauxite e della masseria/jazzo "Murgetta Rossi" includendo il monumento voluto dal Comando Militare a ricordo dei giovani militari trucidati. Nulla del ceppo sotto cui, nel cimitero di Spinazzola, riposano quei Martiri rimasti ignoti dopo essere stati ricomposti.
L'itinerario della memoria, in pratica, esclude completamente la città che accolse come propri figli i 22 soldati, evidenziando il solo luogo dell'eccidio. E questo la dice tutta sull'attenzione a quelle vittime: solo agli spinazzolesi è data la possibilità di posare un fiore sulla loro tomba.
L'unica testimonianza raccolta dell'eccidio è stata completamente esclusa dalla ricostruzione. È la testimonianza di Antonio Casamassima riportata negli anni nei miei articoli per la Gazzetta del Mezzogiorno, successivamente filmata con il prof. Luigi Di Cuonzo responsabile dell'"Archivio della Resistenza e della Memoria" di Barletta, dove il documento è depositato.
Da dove salti fuori il "pastore" - scopritore del macabro rinvenimento - che avvisò le autorità di Spinazzola, è un mistero. Così come l'affermazione con cui si asserisce che i 22 soldati vennero fermati nei pressi delle cave per poi essere condotti nella masseria. Altrettanto incomprensibile la puntualizzazione della distanza tra Murgetta Rossi (in pieno territorio di Spinazzola) e il bivio di Minervino Murge e la città di Barletta (a circa 51 chilometri) dove avvenne un'altra efferata strage nazista.
Nessuno è in grado di affermare, in modo documentato, che l'eccidio di Murgetta Rossi e quello di Barletta furono ad opera dello stesso reparto della Wehrmacht.
Partiamo da alcune certezze. All'indomani dell'armistizio i tedeschi in ritirata a Spinazzola, Barletta, Foggia e in tante altre località italiane colpirono con barbarie e vilmente tantissimi innocenti, civili inermi la cui unica colpa fu quella di trovarsi sul loro cammino.
La fine del fascismo e del nazismo era segnata. In questo contesto storico si iscrive la strage sull'altopiano murgiano a Spinazzola.
Antonio Casamassima - scomparso da alcuni anni - fu tra i primi a giungere dopo la ritirata dei tedeschi sul luogo dell'eccidio. Riporto qui il suo racconto struggente di quei giorni, fornito al prof. Luigi Di Cuonzo e a me.
«Non ricordo la data precisa, tutto si è svolto dopo l'otto settembre, dopo l'arresto di Mussolini, la dichiarazione dell'armistizio di Badoglio, la resa», comincia a raccontare Casamassima. «Ho letto in qualche giornale che qualcuno definisce quei ragazzi, i ventidue martiri, degli sbandati. Loro erano stati obbligati a fare la guerra. Chi fu l'artefice della disgregazione fu la monarchia che con Mussolini e Hitler volevano conquistare il mondo. Un carabiniere mi ha chiesto perché mi trovavo a "Murgetta Rossi", ed io gli ho chiesto se sapesse perché quei tedeschi si trovavano li, sulla nostra terra. Avevo un fratello che lavorava presso la miniera di Bauxite come guardiano. I tedeschi si erano accampati lì vicino. Io avevo 15 anni. Mio fratello era padre di tre figli tutti piccoli. La domenica a dorso di un mulo andavo a portargli gli abiti puliti e restavo con lui per fargli compagnia. Una volta appena giunto trovai con lui un tedesco, chiedeva di me, assicuratosi che ero il fratello del guardiano andò via. Di sera, raccontava mio fratello, in ordine sparso gruppi di due tre italiani salivano passando per il "Cavone". Mio fratello notò che dopo che i giovani erano saliti si udirono colpi di armi da fuoco. Questo avvenne per tre-quattro giorni consecutivi. Una notte tentò di far desistere dal proseguo cinque giovani, invitandoli a tornare indietro. I ragazzi gli dissero che ormai erano quasi arrivati a casa, mancava poco, presto sarebbero stati in salvo, poi sopraggiunse un tedesco che li portò via. Poco dopo nuovi colpi di mitragliatrice. Altri tedeschi raggiunsero mio fratello, avevano orologi ai loro polsi, con voce spezzante dissero "italiani kaputt": li avevano uccisi».
Il signor Antonio si ferma, si commuove, un groppo in gola ferma l'intervista, poi prosegue:
«mio fratello decise allora di tornare in paese rimanendo a casa solo un giorno. Insieme tornammo sul cantiere e fummo quasi subito raggiunti da un carabiniere che ci chiese un piccone e una vanga. Lo seguimmo. Trovammo i giovani uccisi girati con le spalle verso di noi, faccia in giù, semi nascosti sotto a delle pietre. Il maresciallo dei carabinieri cominciò a contarli senza riuscirci, poi venne data loro una prima sepoltura, sino al 25 aprile quando accolti dalla città furono tumulati nel cimitero di Spinazzola». Chiedemmo se ricordasse il nome dell'ufficiale tedesco che parlava in italiano. Ci rispose: «No, ma ricordo una sua frase che disse a mio fratello: "ho scelto la Germania e mi pento". Io avevo 15 anni, ho aiutato a ricomporre i poveri resti di quei ragazzi. Eravamo due civili e sette, otto carabinieri. Un ricordo che ancora oggi a settantanove anni non mi abbandona. Dopo che furono ricomposti la conta si fermò a ventidue persone».
Gli avvenimenti, così come narrati, potrebbero far datare l'eccidio tra il 13 e il 19 settembre del 1943 quando Antonio, la domenica, raggiungeva a dorso di mulo il fratello. Data che verosimilmente corrisponderebbe ad un'altra testimonianza inedita, da me raccolta oggi (13 ottobre 2021) a Poggiorsini settantotto anni dopo l'eccidio.
Quelli tra il 13 e il 19 settembre del 1943 sono i giorni più cruenti della ritirata nazista, le forze britanniche già dall'11 settembre avevano raggiunto Bari. Un'altra strage fu evitata a Poggiorsini. A ricostruire questo episodio è Luigi Di Bartolomeo - classe 1922 - novantanove anni tra qualche giorno, in piena lucidità e con una memoria ricca di particolari.
«Nei giorni successivi all'8 settembre – racconta Luigi – dopo l'armistizio i tedeschi scappavano per raggiungere la loro nazione per evitare di essere presi prigionieri. Ma intanto erano arrivati gli americani. Un'autocolonna di tedeschi lasciata Gravina di Puglia si stava dirigendo in piena notte verso Spinazzola. All'altezza della Masseria chiamata "Taverna", nei pressi della stazione ferroviaria, la jeep (Kübelwagen) che apriva il convoglio, superato il ponticello da dove defluisce l'acqua che arriva dalla Murgia, saltò per aria a causa di una bomba finendo nella scarpata. A morire furono i due soldati sull'automezzo mentre tutta l'autocolonna si bloccò».
Il comandante, constatata la morte dei due militari, non accorgendosi del buco creatosi dopo la deflagrazione della bomba, fece catturare gli abitanti della Masseria, affittuari del conte Fragiacomo, marito e moglie (la famiglia Colangelo) mentre i tre figli maschi riuscirono a scappare calandosi con delle corde dal retro dell'edificio.
I due coniugi sotto minaccia delle armi furono costretti a scavare una fossa, dove sarebbero stati sepolti. A loro fu chiesto se erano i responsabili dell'ordigno: i due si dissero estranei. Subito dopo il comandante ordinò di raggiungere il centro abitato di Poggiorsini.
«In paese – ricorda Luigi – una ventina di tedeschi hanno rastrellato le nostre abitazioni e siamo stati raggruppati all'inizio del paese. Eravamo una cinquantina, tra anziani e giovani, io avevo ventun anni. Il comandante tedesco ci fece circondare dalle jeep e dai camion dotati di mitragliatrici che furono puntate contro di noi. Erano cinque le mitragliatrici».
Prosegue Luigi: «non ci fu detto il perché di quell'azione, nulla sapevamo della bomba, perché la sua esplosione non fu sentita nel paese da nessuno. Eravamo sul punto di morire tutti. Parlavano in tedesco e nessuno di noi riusciva a capire. Tra di noi stava uno squadrista, tra i primi fascisti di quando Mussoli si unì con Hitler, tale ragioniere Altieri.
La domanda che ripeteva il comandante tedesco era quella di conoscere chi di noi aveva messo la bomba, assicurando che non ci avrebbe fatto niente se avessimo parlato. Nessuno di noi sapeva nulla, realmente non sapevamo nulla! L'unico a capire quello che diceva il comandante era il ragioniere, lo squadrista fascista, un bravissimo ragioniere. Fu lui a rendersi garante che la gente di Poggiorsini nulla aveva a che fare con l'attentato. Poi lo stesso chiese ai tedeschi se avevano ritrovato dei segni, un qualcosa che potesse far individuare la matrice dell'attentato. I tedeschi a questo punto si convinsero e andarono via.
Ormai era diventato giorno, furono fatte delle ricerche e proprio vicino al ponte dove era esplosa la bomba fu trovata una bandiera inglese che conclamò l'estraneità dei poggirsinesi».
Si era trattato di un'azione di sabotaggio da parte degli alleati con tanto di firma.
Qui il racconto da alcuni spunti con gli avvenimenti di Spinazzola. Luigi afferma che, dopo aver seppellito i due militari rimasti uccisi, l'autocolonna proseguì la sua marcia. Solo alcuni giorni dopo i corpi dei due militari furono recuperati dagli stessi tedeschi e portati via.
Erano questi gli stessi nazisti che, a pochi chilometri, uccisero i 22 soldati italiani che stavano facendo ritorno a casa a guerra finita? Furono loro che con la stessa ferocia si macchiarono del sangue di innocenti a Barletta?
Il racconto della guida regionale appare quindi lacunosa e superficiale. Una storia da riscrivere.
Quel che si sa è che in Germania, dopo sessantadue anni, era stato aperto un fascicolo da parte della magistratura per accertare le responsabilità sull'eccidio di "Murgetta Rossi". La testimonianza di Antonimo Casamassima venne raccolta anche dai carabinieri che conducevano l'indagine in Italia.
Nel foglio n° 5 del comando territoriale di Bari datato 18 marzo 1945, firmato dal Generale Guido Boselli così vengono descritti i caduti della Murgia a conclusione del documento: "quei morti di ogni regione, dalle Alpi al mare, sono davvero l'immagine della Patria nostra che non può morire, perché noi non la faremo perire. Ignoti i nomi, i loro spiriti sfolgorano dovunque è Italia".
Ma, a ben guardare e leggere, diverse sono le imprecisioni ed omissioni in merito alla tragedia avvenuta nel territorio spinazzolese contenute nella guida. Ad evidenziarle, il giornalista Cosimo Forina che, nel testo che segue, fornisce una attenta analisi del testo contenuto nella guida e una minuziosa documentazione di testimonianze da lui stesso raccolte.
"È stata presentata nei giorni scorsi la guida "Puglia in viaggio nella memoria – Tra i luoghi dell'Antifascismo della Resistenza e dell'Accoglienza" voluta da Pugliapromozione e curata dall'Istituto Pugliese per la Storia dell'Antifascismo e dell'Italia Contemporanea (IPSAIC). Un lavoro senza ombra di dubbio encomiabile, tuttavia impreciso, almeno nella sintesi che concerne la strage dei 22 soldati italiani inermi a Spinazzola compiuta dalla barbarie nazista in ritirata dopo l'armistizio dell'8 settembre del 1943.
Riporta lo stampato: "A circa 51 chilometri da Barletta, subito dopo il bivio per Minervino Murge, in località Murgetta Rossi, il 18 settembre 1943 un reparto della Wehrmacht commise uno dei più orrendi crimini della breve, ma violenta occupazione dell'Alta Murgia. Nei pressi delle cave di bauxite furono catturati ventidue militari italiani che tentavano di ritornare alle loro case. Trasferiti in un ovile non distante dalla cava, furono fucilati e i loro corpi occultati sotto il muro di cinta che fu fatto saltare. Alcuni giorni dopo un pastore del luogo si trovò di fronte alla macabra scoperta e avvisò le autorità di Spinazzola. Si decise senza indugio di interrare i corpi sul posto. Solo nel marzo del 1945 i resti dei soldati italiani furono trasferiti nel cimitero della citta di Spinazzola".
La guida vuol essere anche promozione delle città che hanno pagato amaramente la ferocia nazifascista. Tuttavia, nel citare Spinazzola, gli autori si limitano a pubblicare alcune fotografie delle cave di bauxite e della masseria/jazzo "Murgetta Rossi" includendo il monumento voluto dal Comando Militare a ricordo dei giovani militari trucidati. Nulla del ceppo sotto cui, nel cimitero di Spinazzola, riposano quei Martiri rimasti ignoti dopo essere stati ricomposti.
L'itinerario della memoria, in pratica, esclude completamente la città che accolse come propri figli i 22 soldati, evidenziando il solo luogo dell'eccidio. E questo la dice tutta sull'attenzione a quelle vittime: solo agli spinazzolesi è data la possibilità di posare un fiore sulla loro tomba.
L'unica testimonianza raccolta dell'eccidio è stata completamente esclusa dalla ricostruzione. È la testimonianza di Antonio Casamassima riportata negli anni nei miei articoli per la Gazzetta del Mezzogiorno, successivamente filmata con il prof. Luigi Di Cuonzo responsabile dell'"Archivio della Resistenza e della Memoria" di Barletta, dove il documento è depositato.
Da dove salti fuori il "pastore" - scopritore del macabro rinvenimento - che avvisò le autorità di Spinazzola, è un mistero. Così come l'affermazione con cui si asserisce che i 22 soldati vennero fermati nei pressi delle cave per poi essere condotti nella masseria. Altrettanto incomprensibile la puntualizzazione della distanza tra Murgetta Rossi (in pieno territorio di Spinazzola) e il bivio di Minervino Murge e la città di Barletta (a circa 51 chilometri) dove avvenne un'altra efferata strage nazista.
Nessuno è in grado di affermare, in modo documentato, che l'eccidio di Murgetta Rossi e quello di Barletta furono ad opera dello stesso reparto della Wehrmacht.
Partiamo da alcune certezze. All'indomani dell'armistizio i tedeschi in ritirata a Spinazzola, Barletta, Foggia e in tante altre località italiane colpirono con barbarie e vilmente tantissimi innocenti, civili inermi la cui unica colpa fu quella di trovarsi sul loro cammino.
La fine del fascismo e del nazismo era segnata. In questo contesto storico si iscrive la strage sull'altopiano murgiano a Spinazzola.
Antonio Casamassima - scomparso da alcuni anni - fu tra i primi a giungere dopo la ritirata dei tedeschi sul luogo dell'eccidio. Riporto qui il suo racconto struggente di quei giorni, fornito al prof. Luigi Di Cuonzo e a me.
«Non ricordo la data precisa, tutto si è svolto dopo l'otto settembre, dopo l'arresto di Mussolini, la dichiarazione dell'armistizio di Badoglio, la resa», comincia a raccontare Casamassima. «Ho letto in qualche giornale che qualcuno definisce quei ragazzi, i ventidue martiri, degli sbandati. Loro erano stati obbligati a fare la guerra. Chi fu l'artefice della disgregazione fu la monarchia che con Mussolini e Hitler volevano conquistare il mondo. Un carabiniere mi ha chiesto perché mi trovavo a "Murgetta Rossi", ed io gli ho chiesto se sapesse perché quei tedeschi si trovavano li, sulla nostra terra. Avevo un fratello che lavorava presso la miniera di Bauxite come guardiano. I tedeschi si erano accampati lì vicino. Io avevo 15 anni. Mio fratello era padre di tre figli tutti piccoli. La domenica a dorso di un mulo andavo a portargli gli abiti puliti e restavo con lui per fargli compagnia. Una volta appena giunto trovai con lui un tedesco, chiedeva di me, assicuratosi che ero il fratello del guardiano andò via. Di sera, raccontava mio fratello, in ordine sparso gruppi di due tre italiani salivano passando per il "Cavone". Mio fratello notò che dopo che i giovani erano saliti si udirono colpi di armi da fuoco. Questo avvenne per tre-quattro giorni consecutivi. Una notte tentò di far desistere dal proseguo cinque giovani, invitandoli a tornare indietro. I ragazzi gli dissero che ormai erano quasi arrivati a casa, mancava poco, presto sarebbero stati in salvo, poi sopraggiunse un tedesco che li portò via. Poco dopo nuovi colpi di mitragliatrice. Altri tedeschi raggiunsero mio fratello, avevano orologi ai loro polsi, con voce spezzante dissero "italiani kaputt": li avevano uccisi».
Il signor Antonio si ferma, si commuove, un groppo in gola ferma l'intervista, poi prosegue:
«mio fratello decise allora di tornare in paese rimanendo a casa solo un giorno. Insieme tornammo sul cantiere e fummo quasi subito raggiunti da un carabiniere che ci chiese un piccone e una vanga. Lo seguimmo. Trovammo i giovani uccisi girati con le spalle verso di noi, faccia in giù, semi nascosti sotto a delle pietre. Il maresciallo dei carabinieri cominciò a contarli senza riuscirci, poi venne data loro una prima sepoltura, sino al 25 aprile quando accolti dalla città furono tumulati nel cimitero di Spinazzola». Chiedemmo se ricordasse il nome dell'ufficiale tedesco che parlava in italiano. Ci rispose: «No, ma ricordo una sua frase che disse a mio fratello: "ho scelto la Germania e mi pento". Io avevo 15 anni, ho aiutato a ricomporre i poveri resti di quei ragazzi. Eravamo due civili e sette, otto carabinieri. Un ricordo che ancora oggi a settantanove anni non mi abbandona. Dopo che furono ricomposti la conta si fermò a ventidue persone».
Gli avvenimenti, così come narrati, potrebbero far datare l'eccidio tra il 13 e il 19 settembre del 1943 quando Antonio, la domenica, raggiungeva a dorso di mulo il fratello. Data che verosimilmente corrisponderebbe ad un'altra testimonianza inedita, da me raccolta oggi (13 ottobre 2021) a Poggiorsini settantotto anni dopo l'eccidio.
Quelli tra il 13 e il 19 settembre del 1943 sono i giorni più cruenti della ritirata nazista, le forze britanniche già dall'11 settembre avevano raggiunto Bari. Un'altra strage fu evitata a Poggiorsini. A ricostruire questo episodio è Luigi Di Bartolomeo - classe 1922 - novantanove anni tra qualche giorno, in piena lucidità e con una memoria ricca di particolari.
«Nei giorni successivi all'8 settembre – racconta Luigi – dopo l'armistizio i tedeschi scappavano per raggiungere la loro nazione per evitare di essere presi prigionieri. Ma intanto erano arrivati gli americani. Un'autocolonna di tedeschi lasciata Gravina di Puglia si stava dirigendo in piena notte verso Spinazzola. All'altezza della Masseria chiamata "Taverna", nei pressi della stazione ferroviaria, la jeep (Kübelwagen) che apriva il convoglio, superato il ponticello da dove defluisce l'acqua che arriva dalla Murgia, saltò per aria a causa di una bomba finendo nella scarpata. A morire furono i due soldati sull'automezzo mentre tutta l'autocolonna si bloccò».
Il comandante, constatata la morte dei due militari, non accorgendosi del buco creatosi dopo la deflagrazione della bomba, fece catturare gli abitanti della Masseria, affittuari del conte Fragiacomo, marito e moglie (la famiglia Colangelo) mentre i tre figli maschi riuscirono a scappare calandosi con delle corde dal retro dell'edificio.
I due coniugi sotto minaccia delle armi furono costretti a scavare una fossa, dove sarebbero stati sepolti. A loro fu chiesto se erano i responsabili dell'ordigno: i due si dissero estranei. Subito dopo il comandante ordinò di raggiungere il centro abitato di Poggiorsini.
«In paese – ricorda Luigi – una ventina di tedeschi hanno rastrellato le nostre abitazioni e siamo stati raggruppati all'inizio del paese. Eravamo una cinquantina, tra anziani e giovani, io avevo ventun anni. Il comandante tedesco ci fece circondare dalle jeep e dai camion dotati di mitragliatrici che furono puntate contro di noi. Erano cinque le mitragliatrici».
Prosegue Luigi: «non ci fu detto il perché di quell'azione, nulla sapevamo della bomba, perché la sua esplosione non fu sentita nel paese da nessuno. Eravamo sul punto di morire tutti. Parlavano in tedesco e nessuno di noi riusciva a capire. Tra di noi stava uno squadrista, tra i primi fascisti di quando Mussoli si unì con Hitler, tale ragioniere Altieri.
La domanda che ripeteva il comandante tedesco era quella di conoscere chi di noi aveva messo la bomba, assicurando che non ci avrebbe fatto niente se avessimo parlato. Nessuno di noi sapeva nulla, realmente non sapevamo nulla! L'unico a capire quello che diceva il comandante era il ragioniere, lo squadrista fascista, un bravissimo ragioniere. Fu lui a rendersi garante che la gente di Poggiorsini nulla aveva a che fare con l'attentato. Poi lo stesso chiese ai tedeschi se avevano ritrovato dei segni, un qualcosa che potesse far individuare la matrice dell'attentato. I tedeschi a questo punto si convinsero e andarono via.
Ormai era diventato giorno, furono fatte delle ricerche e proprio vicino al ponte dove era esplosa la bomba fu trovata una bandiera inglese che conclamò l'estraneità dei poggirsinesi».
Si era trattato di un'azione di sabotaggio da parte degli alleati con tanto di firma.
Qui il racconto da alcuni spunti con gli avvenimenti di Spinazzola. Luigi afferma che, dopo aver seppellito i due militari rimasti uccisi, l'autocolonna proseguì la sua marcia. Solo alcuni giorni dopo i corpi dei due militari furono recuperati dagli stessi tedeschi e portati via.
Erano questi gli stessi nazisti che, a pochi chilometri, uccisero i 22 soldati italiani che stavano facendo ritorno a casa a guerra finita? Furono loro che con la stessa ferocia si macchiarono del sangue di innocenti a Barletta?
Il racconto della guida regionale appare quindi lacunosa e superficiale. Una storia da riscrivere.
Quel che si sa è che in Germania, dopo sessantadue anni, era stato aperto un fascicolo da parte della magistratura per accertare le responsabilità sull'eccidio di "Murgetta Rossi". La testimonianza di Antonimo Casamassima venne raccolta anche dai carabinieri che conducevano l'indagine in Italia.
Nel foglio n° 5 del comando territoriale di Bari datato 18 marzo 1945, firmato dal Generale Guido Boselli così vengono descritti i caduti della Murgia a conclusione del documento: "quei morti di ogni regione, dalle Alpi al mare, sono davvero l'immagine della Patria nostra che non può morire, perché noi non la faremo perire. Ignoti i nomi, i loro spiriti sfolgorano dovunque è Italia".