Genitori iper-presenti, coach dei propri figli come compensazione alle proprie mancanze
Un contributo dello psicologo Saverio Costantino
martedì 29 gennaio 2019
19.33
Genitori economicamente ansiosi e iper-coinvolti... così la paura della retrocessione sociale intacca l'educazione. Eccesso di stimolazioni, mancanza di libertà per padri e madri come per i loro bambini, aumento del tempo dedicato (tre volte in più rispetto agli anni settanta) e dominio del modello "imprenditoriale". Il New York Times e noi della Gazzetta del Mezzogiorno modestamente, lanciamo una provocazione:
"E se l'educazione di oggi fosse dannosa per il futuro delle generazioni future?" Di fatto osservare alcuni fenomeni non prescinde dal dato culturale e territoriale; i nostri centri piccoli e ancora basati sulla validità delle relazioni consentono a noi genitori e ai nostri figli di vivere con serenità una certa autonomia che, metaforicamente e realmente, passa dal camminare soli al dirigersi in qualsiasi luogo senza necessariamente vedere la classica scena del genitore che li conduce in auto o li segue a distanza.
Dalla metafora nasce il tema della scelta e della motivazione al "fare o non fare" e quello che dico va ben oltre la classica, ma vera affermazione "noi giocavamo per strada…", si infila nelle ossa del desiderare e dello scegliere; io amo insomma semplificare, anche perché il lettore deve sentire leggero l'accesso al tema. Un bambino che, per esempio, esprime la timida volontà di giocare a calcio vede immediatamente il proprio genitore comprare il completino, iscriverlo alla scuola calcio, raccomandarsi con l'allenatore perché abbia un occhio di riguardo per quel figlio che di sicuro sarà una promessa del calcio; non finisce qui, perché dopo l'ora di faticosa attività fisica spesso la mamma integra le energie spese con una buona merendina e così magari dopo sei mesi, nella migliore delle ipotesi, il bambino sente esaurita questa motivazione per esprimerne subito dopo un'altra, verso le arti marziali più strane del mondo e così via all'infinito.
Noi genitori presenti con loro e spesso per loro, al loro posto, avanti a loro… provate a pensarlo per la scuola e per ogni altro ambito dello scibile umano. Noi genitori troppo concentrati sui nostri figli, sempre in allerta a prevenire quelle che potrebbero essere le loro infelicità: una fatica davvero immane che può sfociare in un vero e proprio senso di colpa se i nostri sforzi non vengono riconosciuti o non portano i frutti sperati. Spesso siamo convinti che i nostri figli abbiano diritto alla "felicità assoluta", sentendocene perciò responsabili. È questa una condizione emotivamente sfiancante e sempre più costosa, anche in termini di denaro. Crescere figli oggi comporta un investimento di risorse economiche e psicologiche che però spesso rischia di essere persino controproducente.
A lanciare la provocazione è il New York Times che pubblica una lunga inchiesta a firma di Claire Cain Miller, The Relentlessness of Modern Parenting. Il bersaglio è la cosiddetta "genitorialità intensiva", un termine coniato dalla sociologa Sharon Huys che descrive uno stile genitoriale "sempre più centrato sul bambino, affidato agli esperti, emotivamente assorbente, finanziariamente costoso". Al contrario di quanto si crede, infatti, i genitori lavoratori di oggi passano con i figli lo stesso tempo delle madri casalinghe degli anni '70. Cambia anche il modo di stare con i bambini: si legge con loro, li si accompagna alle loro mille attività, si partecipa alle loro recite, con loro si gioca, si guarda persino la televisione insieme, si condividono i compiti: 5 ore a settimana rispetto all'ora e 45 minuti del 1975.
Qualcuno potrebbe vedere figli sempre più intrattenuti invece che semplicemente "amati e disciplinati". Anche sentirsi in ansia per un contenuto che si perde come una sorta di recessione sociale o economica, dove per esempio generazioni del dopoguerra anni '50 pensavano alla conquista visto che il peggio era alle spalle. Ma cosa spinge i genitori a dedicarsi così affannosamente ai propri figli, investendo grandi quantità di tempo e denaro? Una sorta di Ansia per la perdita o il timore di non offrire il meglio ai propri figli come opportunità, il terrore insomma che i propri figli abbiano una vita meno prosperosa o finiscano in una classe sociale inferiore. Ecco, di qui il modello di genitorialità intensivo e "ansiogeno". Un modello in linea con una società capitalistica che risponde a pieno alla concezione dell'individuo "imprenditore di se stesso". In questa logica, i figli non sono un'apertura al futuro, al rischio, all'imprevisto, al diverso da sé, ma piuttosto una componente centrale di un progetto di vita pensato come investimento imprenditoriale direi, a volte, risarcitorio delle mancate scelte genitoriali o aspettative elevate non realizzate, forse non realizzabili. Mentre questa educazione è stata la norma delle classi benestanti fin dagli anni '90, oggi le nuove aspettative hanno permeato anche i genitori di classi inferiori, persino coloro che non hanno i mezzi per sostenere questo tipo di educazione. Insomma la genitorialità intensiva è diventata il modello culturale dominante, anche per chi non può frequentare elitari club sportivi o costose scuole di musica. Il motore a volte è rappresentato proprio dai sensi di colpa, dalla pervasiva sensazione di non fare mai abbastanza. Nell'alzare gli standard educativi non aumentano i supporti per i genitori che lavorano, come i congedi parentali, i sussidi, gli orari flessibili, si riducono invece anche le reti informali di aiuto.
La conseguenza è che i genitori, in particolare le madri, sono stressati, esausti e pieni di sensi di colpa. E per dedicarsi a tempo pieno ai figli tolgono tempo ai partner, agli amici, ai momenti di piacere, al sonno. Siamo di fronte a super mamme che però nella loro vita privata poi si sentono invisibili, giungono alla sera senza aver goduto di nessun "grazie". Altre donne interrompono la propria carriera oppure semplicemente decidono di non fare figli. Altre, già madri, si limitano a un solo figlio nel timore di non poter garantire lo stesso standard educativo agli altri. Un'espansione dei sistemi di welfare e crescita economica, oggi il sistema di welfare non è più in espansione e l'ascensore sociale si è in buona parte bloccato. Non è solo un problema di difficoltà economica, è anche una ricaduta del modello di genitorialità, soprattutto di maternità, che impone una presenza e una dedizione che semplicemente molte donne non possono permettersi. Questa colpevolizzante ricerca di attenzioni potrebbe essere un boomerang.
Mentre i genitori si affannano, gli psicologi lanciano l'allarme sull'alto livello di stress che questo clima emotivo comporta e sul deficit di indipendenza e sicurezza in se stessi. Gli psicologi sottolineano che quell'eccesso di preoccupazioni che si trasforma in sovraccudimento, non è affatto positivo per i genitori e neanche per i loro figli. Alcune ricerche hanno mostrato che bambini con genitori iper-coinvolti hanno un livello più alto di ansia e meno soddisfazione verso la vita, mentre i bambini che giocano senza supervisione costruiscono competenze sociali e pratiche e maturità emotiva. Questa crescita di attenzione e investimento risulta a volte ossessiva nei confronti dei figli. Si rischia di produrre nei giovani da un lato la fragilità per eccesso di aspettative dei genitori nei loro confronti, dall'altro diseguaglianze crescenti per il peso che le risorse culturali ed economiche della famiglia di origine comporta. Se l'agenda piena è stancante per noi adulti figuriamoci per un bambino che non è più libero semplicemente di giocare… anche solo per strada.
Oggi invece sembra che la preoccupazione principale per un genitore sia quella di non lasciare un minuto libero al proprio figlio, tanto che c'è da chiedersi come possano questi figli sviluppare qualcosa che non sia il risultato di un condizionamento dei genitori. Che cosa si potrebbe fare, allora? Basterebbe limitarsi a stare attenti che i bambini non si facciano male, invece di considerarli come un valore da non lasciare mai incustodito. Anche perché chi sostiene la necessità della presenza continua dei genitori non spiega le ragioni scientifiche per cui tale presenza ininterrotta sarebbe necessaria e néß quali benefici realmente porti. Insomma siamo presenti senza essere ingombranti altrimenti l'autonomia emotiva che spesso non riconosciamo, li renderà vulnerabili, nonostante i numerosi master alle migliori università e la frequenza delle più rinomate scuole di musica o di danza. Importante sarebbe abbassare la tacca delle aspettative verso i nostri figli, allentare un po' la presa e, probabilmente, capire che tutto quell'affannarsi non si trasforma automaticamente in ricompensa d'amore e di rispetto. Basterebbe ricordare quanto sosteneva il grande pediatra e psicanalista Donald Winnicott… "non si deve cercare di essere genitori perfetti, ma genitori sufficientemente buoni".
"E se l'educazione di oggi fosse dannosa per il futuro delle generazioni future?" Di fatto osservare alcuni fenomeni non prescinde dal dato culturale e territoriale; i nostri centri piccoli e ancora basati sulla validità delle relazioni consentono a noi genitori e ai nostri figli di vivere con serenità una certa autonomia che, metaforicamente e realmente, passa dal camminare soli al dirigersi in qualsiasi luogo senza necessariamente vedere la classica scena del genitore che li conduce in auto o li segue a distanza.
Dalla metafora nasce il tema della scelta e della motivazione al "fare o non fare" e quello che dico va ben oltre la classica, ma vera affermazione "noi giocavamo per strada…", si infila nelle ossa del desiderare e dello scegliere; io amo insomma semplificare, anche perché il lettore deve sentire leggero l'accesso al tema. Un bambino che, per esempio, esprime la timida volontà di giocare a calcio vede immediatamente il proprio genitore comprare il completino, iscriverlo alla scuola calcio, raccomandarsi con l'allenatore perché abbia un occhio di riguardo per quel figlio che di sicuro sarà una promessa del calcio; non finisce qui, perché dopo l'ora di faticosa attività fisica spesso la mamma integra le energie spese con una buona merendina e così magari dopo sei mesi, nella migliore delle ipotesi, il bambino sente esaurita questa motivazione per esprimerne subito dopo un'altra, verso le arti marziali più strane del mondo e così via all'infinito.
Noi genitori presenti con loro e spesso per loro, al loro posto, avanti a loro… provate a pensarlo per la scuola e per ogni altro ambito dello scibile umano. Noi genitori troppo concentrati sui nostri figli, sempre in allerta a prevenire quelle che potrebbero essere le loro infelicità: una fatica davvero immane che può sfociare in un vero e proprio senso di colpa se i nostri sforzi non vengono riconosciuti o non portano i frutti sperati. Spesso siamo convinti che i nostri figli abbiano diritto alla "felicità assoluta", sentendocene perciò responsabili. È questa una condizione emotivamente sfiancante e sempre più costosa, anche in termini di denaro. Crescere figli oggi comporta un investimento di risorse economiche e psicologiche che però spesso rischia di essere persino controproducente.
A lanciare la provocazione è il New York Times che pubblica una lunga inchiesta a firma di Claire Cain Miller, The Relentlessness of Modern Parenting. Il bersaglio è la cosiddetta "genitorialità intensiva", un termine coniato dalla sociologa Sharon Huys che descrive uno stile genitoriale "sempre più centrato sul bambino, affidato agli esperti, emotivamente assorbente, finanziariamente costoso". Al contrario di quanto si crede, infatti, i genitori lavoratori di oggi passano con i figli lo stesso tempo delle madri casalinghe degli anni '70. Cambia anche il modo di stare con i bambini: si legge con loro, li si accompagna alle loro mille attività, si partecipa alle loro recite, con loro si gioca, si guarda persino la televisione insieme, si condividono i compiti: 5 ore a settimana rispetto all'ora e 45 minuti del 1975.
Qualcuno potrebbe vedere figli sempre più intrattenuti invece che semplicemente "amati e disciplinati". Anche sentirsi in ansia per un contenuto che si perde come una sorta di recessione sociale o economica, dove per esempio generazioni del dopoguerra anni '50 pensavano alla conquista visto che il peggio era alle spalle. Ma cosa spinge i genitori a dedicarsi così affannosamente ai propri figli, investendo grandi quantità di tempo e denaro? Una sorta di Ansia per la perdita o il timore di non offrire il meglio ai propri figli come opportunità, il terrore insomma che i propri figli abbiano una vita meno prosperosa o finiscano in una classe sociale inferiore. Ecco, di qui il modello di genitorialità intensivo e "ansiogeno". Un modello in linea con una società capitalistica che risponde a pieno alla concezione dell'individuo "imprenditore di se stesso". In questa logica, i figli non sono un'apertura al futuro, al rischio, all'imprevisto, al diverso da sé, ma piuttosto una componente centrale di un progetto di vita pensato come investimento imprenditoriale direi, a volte, risarcitorio delle mancate scelte genitoriali o aspettative elevate non realizzate, forse non realizzabili. Mentre questa educazione è stata la norma delle classi benestanti fin dagli anni '90, oggi le nuove aspettative hanno permeato anche i genitori di classi inferiori, persino coloro che non hanno i mezzi per sostenere questo tipo di educazione. Insomma la genitorialità intensiva è diventata il modello culturale dominante, anche per chi non può frequentare elitari club sportivi o costose scuole di musica. Il motore a volte è rappresentato proprio dai sensi di colpa, dalla pervasiva sensazione di non fare mai abbastanza. Nell'alzare gli standard educativi non aumentano i supporti per i genitori che lavorano, come i congedi parentali, i sussidi, gli orari flessibili, si riducono invece anche le reti informali di aiuto.
La conseguenza è che i genitori, in particolare le madri, sono stressati, esausti e pieni di sensi di colpa. E per dedicarsi a tempo pieno ai figli tolgono tempo ai partner, agli amici, ai momenti di piacere, al sonno. Siamo di fronte a super mamme che però nella loro vita privata poi si sentono invisibili, giungono alla sera senza aver goduto di nessun "grazie". Altre donne interrompono la propria carriera oppure semplicemente decidono di non fare figli. Altre, già madri, si limitano a un solo figlio nel timore di non poter garantire lo stesso standard educativo agli altri. Un'espansione dei sistemi di welfare e crescita economica, oggi il sistema di welfare non è più in espansione e l'ascensore sociale si è in buona parte bloccato. Non è solo un problema di difficoltà economica, è anche una ricaduta del modello di genitorialità, soprattutto di maternità, che impone una presenza e una dedizione che semplicemente molte donne non possono permettersi. Questa colpevolizzante ricerca di attenzioni potrebbe essere un boomerang.
Mentre i genitori si affannano, gli psicologi lanciano l'allarme sull'alto livello di stress che questo clima emotivo comporta e sul deficit di indipendenza e sicurezza in se stessi. Gli psicologi sottolineano che quell'eccesso di preoccupazioni che si trasforma in sovraccudimento, non è affatto positivo per i genitori e neanche per i loro figli. Alcune ricerche hanno mostrato che bambini con genitori iper-coinvolti hanno un livello più alto di ansia e meno soddisfazione verso la vita, mentre i bambini che giocano senza supervisione costruiscono competenze sociali e pratiche e maturità emotiva. Questa crescita di attenzione e investimento risulta a volte ossessiva nei confronti dei figli. Si rischia di produrre nei giovani da un lato la fragilità per eccesso di aspettative dei genitori nei loro confronti, dall'altro diseguaglianze crescenti per il peso che le risorse culturali ed economiche della famiglia di origine comporta. Se l'agenda piena è stancante per noi adulti figuriamoci per un bambino che non è più libero semplicemente di giocare… anche solo per strada.
Oggi invece sembra che la preoccupazione principale per un genitore sia quella di non lasciare un minuto libero al proprio figlio, tanto che c'è da chiedersi come possano questi figli sviluppare qualcosa che non sia il risultato di un condizionamento dei genitori. Che cosa si potrebbe fare, allora? Basterebbe limitarsi a stare attenti che i bambini non si facciano male, invece di considerarli come un valore da non lasciare mai incustodito. Anche perché chi sostiene la necessità della presenza continua dei genitori non spiega le ragioni scientifiche per cui tale presenza ininterrotta sarebbe necessaria e néß quali benefici realmente porti. Insomma siamo presenti senza essere ingombranti altrimenti l'autonomia emotiva che spesso non riconosciamo, li renderà vulnerabili, nonostante i numerosi master alle migliori università e la frequenza delle più rinomate scuole di musica o di danza. Importante sarebbe abbassare la tacca delle aspettative verso i nostri figli, allentare un po' la presa e, probabilmente, capire che tutto quell'affannarsi non si trasforma automaticamente in ricompensa d'amore e di rispetto. Basterebbe ricordare quanto sosteneva il grande pediatra e psicanalista Donald Winnicott… "non si deve cercare di essere genitori perfetti, ma genitori sufficientemente buoni".