Connessi con lo sguardo nella stessa direzione

Una riflessione di Saverio Costantino, psicologo e psicoterapeuta

domenica 10 maggio 2020
A cura di Saverio Costantino
Un piccolo paese che spesso e per fortuna non occupa le pagine di cronaca si distingue per una capacità di recuperare identità.

Frate Gianni della Parrocchia Maria S.S. Annunziata lancia una sfida meravigliosa, diventata poi una sfida che ha coinvolto tutta la comunità,iniziata con la benedizione delle Palme in giro per la città, ha poi visto il volo delle mongolfiere a Pasqua, fino all'esposizione dei palloncini nel giorno della festa della mamma.
Cosa fa sentire bene le persone se non il sentirsi vicini!

Anche se la prescrizione è quella di stare lontani, la dimensione gestuale ci ha visti rivolgere lo sguardo nella stessa direzione forse una delle poche volte tutti insieme.
Sapere che in quel momento tutti stiamo rivolgendo il nostro pensiero a qualcosa che ci tiene per mano è un po' come sentirsi meno soli.

Un piccolo centro che a mio avviso ha tradotto le prescrizioni più allarmistiche in vicinanza solidale, anche la sollecitudine dell'amministrazione a cogliere il suggerimento di attivare il numero di supporto psicologico, per fortuna non ha visto ingorghi nelle chiamate.. questo va letto in una dimensione positiva che forse valorizza la rete relazionale naturale dei vicini, degli amici e anche delle associazioni di volontariato, che sono state sempre in una piacevole trincea della solidarietà.

Il bombardamento dell'informazione, di cassandre contraddittorie hanno provocato allarmismo e nello stesso tempo effetto saturazione, cioè le troppe e continue informazioni creano un isolamento, ci si allontana e non si ascolta più, quasi come un "ognuno fa come gli pare".

La Fase 2 più che una apertura graduale, in alcune città si è trasformata in "un liberi tutti"..e allora io mi chiedo a quale senso della responsabilità ci si è affidato o se molti hanno già dimenticato i tanti sacrifici fatti negli ultimi mesi.

Si continua a dare colpe a chi decide e a chi controlla, si continua a dare peso alle sanzioni da aggirare o eludere, ma si perde il senso che il vero pericolo è invisibile, subdolo ed è il contagio dal virus mortale.

Quindi il vero tema è quello di rispettare le morti che ci sono state, quelle che hanno portato via gente che per scelta si è prodigata per gli altri : il personale sanitario, volontari religiosi, sacerdoti e non solo; rispettare chi pur non avendo contratto per fortuna il contagio lo ha sfiorato quotidianamente rimanendo in trincea.
Da Psicologo della Riabilitazione Psichiatrica con tutti i miei operatori e pazienti abbiamo lottato e continuiamo a farlo, evidenziando di essere e di essere stati tanto uniti proprio nel momento in cui ci veniva prescritto di essere distanti, paradosso nella realtà.

Se la morte o un disagio non ci colpisce di persona diventa solo una notizia lontana, come lo era quando si parlava del contagio in Cina, qualche retropensiero anche stigmatizzante ci faceva persino dire "tanto sono lontani e sono i soliti cinesi", fino a quando purtroppo le distanze non si sono accorciate e siamo diventati dal nord il centro del contagio.
Ora arrivano le fantasiose letture del complotto o degli scenari di influenza magnetica del 5 G , che però non escludono che i morti sono morti davvero e i pericoli sono reali.. l'appello al buon senso va fatto a se stessi come al solito.

Chi non ha interrotto, anzi ha incentivato il supporto alle persone ha vinto il burn out, leggendo nel sorriso sotto la mascherina quel meraviglioso grazie che rinfranca l'anima, rendendo meno pesante la fatica di chi non ha voluto mai fermarsi.

Vorrei anche dare un messaggio in controtendenza, perchè definire ogni cosa come un disagio ci fa sentire senza scampo; anche fonti autorevoli delle categorie di aiuto pubblicano dati allarmistici di stati d'ansia e condizioni di disagio legate prima all'isolamento, ora al ritorno alla normalità, si affaccia sempre di più la Sindrome della Capanna, come difficoltà a riprendere le relazioni, dopo un periodo di chiusura.

Ma io ho anche registrato che alcune famiglie hanno riconquistato le distanze, il dialogo, la ritualità dello stare insieme, il fermarsi non è un dato negativo in assoluto, ma anche un recupero della normalità, delle nostre azioni frenetiche, delle nostre code, delle nostre richieste e aspettative; il super Io dell'economia supera ogni valore umano, certo che non ci si nutre di concetti romantici, ma come dice il mio caro amico e collega Direttore del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Bat "la poesia ci rende migliori".

Insomma nel negativo qualcosa di buono lo abbiamo sperimentato, almeno ad esperire la mancanza di quello che quando avevamo non notavamo e gustavamo.
Ci mancano gli spazi e gli orizzonti, il tramonto e il sorgere del sole, il mare e la campagna che quando potevamo abbiamo spesso visto attraverso uno smartphone, ora forse ci siamo saturati anche di tecnologia.

Se ad uno stato d'animo della difficoltà a ripristinare contenuti sospesi diamo il nome di sindrome già ci confrontiamo con il patologico, per fare un esempio se un centro antiviolenza si chiamasse centro per la promozione dell'amore e delle buone relazioni sarebbe più accessibile a tutti.

Sintetizzando se il centro di salute mentale si chiamasse centro di promozione del benessere psicologico sarebbe meno stigmatizzante, ma in fondo non è un gioco di parole o uno sfoggio terminologico ma un dato sostanziale, come ci si definisce e come ci si racconta diventa la nostra realtà il nostro reale stato d'animo.

Dietro quel "stavamo meglio quando stavamo peggio", vi è quel recupero della semplicità e dell'essenziale, come accorgersi di quello che ci mancava, e attivare risorse per superare le difficoltà, la resilienza, insomma quel mare mosso che ci fa apprezzare il mare calmo.

Il messaggio metaforico del tirare fuori, del far volare una mongolfiera è un auspicio per tutti: il nostro cuore voleva unirsi stando lontani. Buona festa della Mamma.